Il progetto è finanziato da Fondazione Cariplo.
Promuove il rafforzamento dei legami tra i migranti, puntando a favorire l’incontro, la conoscenza, la convivialità con coloro che già risiedono nel quartiere. Il progetto PORTO aveva l’obiettivo di donare il quartiere popolare San Siro, ricco di risorse umane, idee e relazioni, ma carente dal punto di vista delle risorse economiche e strutturali, di una piattaforma progettuale, in grado di leggere i bisogni locali, programmare con continuità nel tempo azioni concrete e specifiche, coordinare le risorse in modo da evitare sovrapposizioni inutili o interventi che si depotenzino reciprocamente. La rete esistente si è consolidata ed ampliata per garantire uno scambio di contributi e idee con realtà anche al di fuori del quartiere per una messa in comune di iniziative e risorse da cui potevano nascere occasioni di apertura ad altre realtà milanesi. Dinamica che ha potuto generare e offrire nuovi “approdi”. In prospettiva PORTO ha scommesso sulla creazione di un polo territoriale diffuso, che poteva garantire la progettazione e gestione (in rete) di azioni sistematiche e continuative, in una logica di programmazione flessibile e aperta, per promuovere la ricomposizione dei frammenti sociali del quartiere San Siro. La concentrazione di nuclei familiari di origini culturali ed etniche diverse, in particolare dal nord Africa, dal Sud America e ultimamente anche dall’Oriente, rende più acuto lo “sradicamento sociale e culturale”, che parallelamente ad altri fenomeni (tra cui il progressivo invecchiamento della popolazione residente), genera un clima relazionale difficoltoso. Lo sfilacciamento del tessuto sociale, dei suoi riti e delle sue consuetudini di comunità, ha contribuito a generare, soprattutto nella fascia adolescenziale, la diffusione di comportamenti di assenza di rispetto delle regole di convivenza e di micro conflittualità diffusa. In particolare le azioni previste andavano nella direzione di dare voce e visibilità e occasioni di incontro ai residenti che vivono il quartiere in modo passivo, da “ospiti”, e non avevano i mezzi e gli strumenti per strutturare forme di socialità più soddisfacenti. Una modalità attiva e che puntava alla corresponsabilizzazione nel quartiere ha innescare una serie di positivi cambiamenti degli “stili aggregativi” e degli “stili di gestione del conflitto”, aumentando nei diversi residenti la capacità di autogestione, la percezione di sicurezza e il senso di appartenenza.